Da fabbrica di Stato al mercato globale L’Ast della ThyssenKrupp. La storia nel libro di Valter Patalocco “Il Messaggero” – Umbria – 9 luglio 2013 [PDF]
Qualcuno ha scritto che “ il giornalista è lo storico dell’istante”. Una considerazione certo sbrigativa che però mette bene in evidenza come alcune inchieste o servizi giornalistici possono diventare nel tempo fonti documentarie particolarmente utili a ricostruire una determinata vicenda o fase storica.
Walter Patalocco, giornalista ternano, con questo nuovo libro testimonia quanto possa essere importante svolgere con passione, equilibrio e competenza la propria attività professionale e attraverso essa fornire un contributo rilevante alla ricerca storica. Il volume arricchisce e porta a sintesi infatti il suo lavoro di cronista che ha seguito quotidianamente per “Il Messaggero”, le tante vicende, spesso socialmente drammatiche, che hanno interessato quell’aggregato industriale che va sotto il nome di acciaierie ternane.
L’autore non è nuovo a lavori storico-giornalistici di questo genere che vanno assumendo un valore sempre più rilevante di fronte al prevalere della nuova ed effimera cultura informatica la quale tende a marginalizzare la carta stampata e con essa anche la storia e la memoria per privilegiare invece l’istante informativo senza alcun retroterra conoscitivo e temporale. Patalocco d’altronde nel 2002 ha dato alle stampe un volume dal titolo “I rossi e il professore. Ciaurro sindaco di Terni” nel quale aveva ricostruito l’esperienza compiuta dal primo sindaco non di sinistra (tra il 1993 e il 1998) nel contesto di una profonda crisi sociale e politica della città e della sinistra tra la fine degli anni Ottanta e gli anni Novanta.
Questo secondo volume è in qualche modo una nuova tappa nella storia della città che Patalocco si è prefissato di realizzare dall’angolo visuale della grande industria la quale oramai da più di un secolo ha segnato l’immagine e l’identità stessa della comunità ternana.
Il volume in diciotto brevi, ma avvincenti capitoli, scritti con un linguaggio semplice e informato, ricostruisce la recente storia delle acciaierie ternane a partire dalla loro privatizzazione avviatasi nel 1995 dopo oltre un secolo in cui lo “stato imprenditore”era divenuto il proprietario.
L’autore colloca la vicenda dell’industria metalmeccanica ternana all’interno della più generale politica della siderurgia di stato (negli anni della crisi del settore gestita dall’Iri di Romano Prodi e dal ternano Enrico Micheli) e avvia il suo racconto ricordando lo storico passaggio di proprietà il 10 gennaio 1995 dell’Ast dall’Iri ad un consorzio composto al cinquanta per cento dalla tedesca Krupp e da una società a cui avevano dato vita gli industriali siderurgici italiani Giorgio Falck, Luigi Agarini ed Emilio Riva. Con questa privatizzazione si consolidava anche in Umbria l’entrata delle imprese multinazionali che oggi sono oramai quasi una cinquantina. Cambiava la storia dell’industria ternana e si avviava quella che Patalocco ha chiamato “l’occupazione tedesca” della azienda allorquando nel 1999 e poi nel 2001 la proprietà delle acciaierie divenne interamente della ThyssenKrupp.
La multinazionale, racconta Patalocco, di fronte alla nuova competizione apertasi nel mercato internazionale del settore e nell’ottica della diversificazione e riorganizzazione produttiva all’interno del gruppo sceglie di valorizzare alcune produzioni dell’industria ternana a scapito di altre nel quadro di una forte riduzione dei costi e degli investimenti. Tra il 2003 e il 2004 si sviluppa quella che l’autore chiama la “guerra del magnetico”, il gruppo attraversa un periodo di crisi e a Terni gli operai vanno in cassa integrazione o in prepensionamento mentre rimangono al lavoro circa 3500 addetti. Per la prima volta la città ed i poteri locali insieme ai sindacati devono affrontare una profonda crisi aziendale senza avere la possibilità di avere interlocutori diretti e “particolarmente sensibili “ ai problemi dei lavoratori e della città, così come era stato nei decenni precedenti con le partecipazioni statali come controparte. Per contrastare la ferrea logica imprenditoriale delle multinazionali la città scende in piazza come ai tempi dei licenziamenti del 1952-53, ma in un contesto interno e internazionale molto diverso.
Nonostante le proteste la ThyssenKrupp insiste per realizzare il suo progetto industriale di riorganizzazione inviando a Terni un nuovo amministratore delegato Harald Espenhahn incaricato in qualche modo anche di ricostruire un rapporto positivo tra la proprietà della azienda e la città. Questa operazione simpatia ,come la definisce Patalocco è in qualche modo compromessa dalla strage di Torino del 2007 dove ,a causa di insufficienti misure di sicurezza, muoiono sette giovani operai proprio in uno stabilimento del gruppo Thyssen in fase di dismissione in attesa di trasferire i macchinari proprio a Terni.
Il volume giunge fino ai nostri giorni mettendo in evidenza come la ThyssenKrupp già dal 2009 non consideri più il sito ternano sede privilegiata per sviluppare la produzione dell’acciaio inossidabile ed avvii così la collaborazione con un nuovo socio quale l’Outokumpu.
Patalocco ci offre quindi un quadro molto documentato delle vicende ,aziendali e produttive dell’industria ternana,tratteggia la personalità di alcuni manager e da tutto ciò emerge come la privatizzazione dell’impresa abbia alla fine cambiato nel profondo le relazioni con la città e le sue istituzioni locali e nazionali. Lo svolgersi degli eventi e l’interpretazione che ne ha dato l’autore sembra dirci che ancora un volta Terni è costretta a fare i conti con la modernità e i cambiamenti oggi imposti dalla nuova globalizzazione dei mercati e dei consumi. Una ricostruzione sobria ed intelligente dei fatti che sono gli unici a farci capire realmente le cose e di questo non possiamo che essere grati allo “storico dell’istante” Walter Patalocco.
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Storia delle classi dirigenti in Italia L’Umbria dal 1861 al 1992
Edimond – Studi storici, 2012
La storia delle classi dirigenti è espressione di un complesso filone storiografico che richiede l’uso di varie fonti e metodologie e l’integrazione tra diverse discipline storiche e sociali per ricostruire l’attività di un insieme di soggetti individuali e collettivi con responsabilità e poteri nel campo politico, amministrativo, imprenditoriale, bancario, delle professioni, della informazione, della scuola e religioso. In quest’ottica la pubblicazione evidenzia come in Italia la particolare configurazione del sistema economico-sociale e il processo di formazione dello Stato nazionale abbiano conferito soprattutto al ceto politico espresso dalla borghesia industriale del Nord e da quella agraria del Sud una rilevante funzione dirigente almeno fino alla prima guerra mondiale ed anche nel corso del ventennio fascista, pur nel contesto di uno Stato totalitario. Dopo la seconda guerra mondiale l’affermarsi del sistema democratico e la piena integrazione nel mondo occidentale consentono alla “repubblica dei partiti” di avviare un progressivo ricambio delle classi dirigenti che viene ad allargarsi a nuovi e diversi soggetti politici e sociali frutto della crescita economica e del consolidarsi della società di massa. In questo quadro il libro esprime la consapevolezza che la storia nazionale è anche storia delle particolarità regionali e locali e quindi propone la ricostruzione della vita delle classi dirigenti nel rapporto tra centro e periferia, tra città e Stato, analizzando l’esperienza di un territorio come quello umbro. Una realtà che sembra prefigurare un modello regionale segnato, soprattutto nel primo cinquantennio, da una organizzazione del potere di tipo prevalentemente oligarchico e poi dal secondo dopoguerra da una nuova classe dirigente a due facce espressione di una diarchia politica, nazionale e locale, caratterizzata da una specie di ideologia regionalistica di tipo neoautarchico, fino alla sua delegittimazione agli inizi degli anni Novanta del Novecento. La ricostruzione e l’interpretazione storica presente nel volume è sostenuta da un consistente apparato bibliografico, molte note integrative al testo e diversi dati statistici ed elettorali insieme ad oltre trecento schede biografiche che contribuiscono a definire l’identità e l’azione dell’insieme delle classi dirigenti che hanno operato in Umbria.
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"Il Messaggero" - Umbria - 17 ottobre 2012
Quando si ricordano i maggiori esponenti della classe dirigente dell’Umbria spesso prevale una certa “autarchia regionalistica” e quindi si dimenticano coloro che umbri non sono,almeno per nascita ,ma che in tempi e modi diversi hanno sicuramente inciso sullo sviluppo economico e sociale della regione. Tra questi ci sono in particolare i nomi di tanti tecnici,manager e imprenditori che hanno creato o guidato le aziende pubbliche soprattutto nella realtà industriale ternana.
Senza riandare a personaggi un po’ più lontani nel tempo come Vincenzo Stefano Breda, Luigi Campo Fregoso,Benedetto Brin,Antonio Bosco ci si può limitare al secondo dopoguerra quando sul complesso industriale delle Acciaierie incisero le politiche dell’Iri, della Finsider o dell’Enel enti di stato guidati da personaggi quali Arturo Bocciardo, Oscar Sinigaglia, Giuseppe Petrilli, Pietro Sette, Ernesto Manuelli,Alberto Capanna, Aldo Maria Angelini ed altri come Gian Lupo Osti che proprio nei giorni scorsi è scomparso all’età di 92 anni.
Osti è stato una figura singolare nel panorama nazionale dei manager di stato per i suoi molti interessi ,oltre quelli strettamente professionali.
Combattente nella seconda guerra mondiale ed internato in un lager tedesco inizia la sua attività di manager con Oscar Sinigaglia, l’autore del piano Finsider per l’acciaio che portò tra l’altro ad una dolorosa ristrutturazione per l’acciaieria ternana a partire dal 1953. Lavorò poi alla Dalmine ,alla Cornigliano e all’Italsider e divenne espressione dell’area intellettuale socialista legata in particolare a Riccardo Lombardi e Giovanni Giolitti che fornì alcuni esponenti di quella” razza padrona”(in gran parte Dc) che contribuì comunque all’industrializzazione del paese.
Dal 1965 al 1975 ricoprì la carica di amministratore delegato della società Terni ( con Terenzio Malvetani Presidente) in un momento in cui la Acciaierie tentano di entrare nel mercato delle forniture di impianti per il settore elettronucleare ,allora considerato strategico. D’altronde in quegli anni la Terni si componeva di soli tre comparti:fucinatura,fonderia e meccanica;acciaieria e laminazione;carpenteria e condotte forzate e ciò rischiava di marginalizzare il suo ruolo nel campo della siderurgia nazionale ed internazionale. Il nuovo obiettivo strategico delle forniture elettronucleari però per essere realizzato aveva bisogno di una certa autonomia del polo ternano dal controllo della Finsider e rientrare nella politica più generale delle partecipazioni statali. Ciò non avvenne e pur tuttavia Osti durante la sua decennale gestione fece significativi investimenti sui treni di laminazione con un progressivo aumento dell’occupazione.
Ma il conflitto con la dirigenza democristiana dell’Iri e della Finsider portò ad una certa penalizzazione dell’industria ternana e la costrinse a finanziare quasi tutti gli investimenti ricorrendo all’indebitamento a breve i cui enormi oneri condizioneranno pesantemente gli equilibri di bilancio degli anni successivi. Le difficoltà finanziarie e la crisi internazionale della siderurgia porteranno al grande ridimensionamento delle Acciaierie ternane nei primi anni Ottanta.
Gian Lupo Osti lasciò la Terni nel 1976 ma nel periodo in cui diresse le Acciaierie non rimase chiuso all’interno della fabbrica e manifestò anche il suo interesse per il territorio umbro finanziando i “manuali del territorio” un censimento dei beni culturali delle valli e delle città ternane diretto da Bruno Toscano.
Ma l’originalità del personaggio accanto all’esperienza manageriale e culturale è data dalla sua speciale competenza e passione per la botanica e in particolare per i fiori, le peonie,le camelie e le orchidee .Si reca in Cina alla ricerca di una particolare peonia bianca e nera che entrerà poi in un catalogo ufficiale giapponese,mentre per le sue competenze botaniche riceve un ambito riconoscimento dalla Royal Horticoltural Society.
Il legame con l’Umbria rimane negli anni e nel 1986 con il suo amico Vittorio Emiliani direttore del Messaggero a bordo di un gommone ridiscende il Tevere partendo dal Monte Fumaiolo e sul giornale descrive ai lettori la particolare vegetazione che caratterizza le rive di un fiume ricco di storia.
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L’Italia e i crimini di guerra 1940-1945 L’occultamento delle stragi nazifasciste e delle rappresaglie in Jugoslavia. Storie di guerra, resistenza, guerra civile e guerra ai civili in Umbria
Crace, 2012
Il volume si inserisce nell'ampia storiografia sui crimini di guerra compiuti nel corso del secondo conflitto mondiale. Il libro evidenzia come il rapporto tra l'Italia e i crimini di guerra sia una questione complessa trattandosi di un paese prima alleato dei vinti e poi dei vincitori: l'esercito italiano , tra il 1940 e il 1943, è infatti considerato responsabile, insieme ai tedeschi, dei numerosi eccidi di civili in Russia, Grecia e soprattutto nei Balcani; ma poi, tra il 1943 e il 1945, quando è cobelligerante con gli angloamericani, lo stesso paese subisce stragi efferate di civili ad opera dei nazifascisti, ma anche degli italiani fascisti impegnati in una sanguinosa guerra civile. Un paese quindi che è considerato autore e vittima dei crimini di guerra al punto da impedirgli di riconoscere le responsabilità dei soldati italiani nei Balcani così come di perseguire i nazifascisti colpevoli delle stragi in Italia. Il volume ricostruisce la storia del lungo occultamento dal 1945 ad oggi attuato dalla magistratura militare e dal potere politico soprattutto negli anni della Guerra Fredda al fine di realizzare una certa idea della pacificazione nazionale.
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Il volume cerca di rispondere alla domanda che spesso la storiografia italiana si è posta su quale sia stata l'influenza della Rivoluzione Francese sulla storia dell'Italia moderna a partire dalle esperienze delle Repubbliche giacobine tra il 1796 e il 1799. La risposta a cui si è pervenuti considera la presenza francese nella Penisola come una vera e propria occupazione militare che ha però consentito l’affermarsi di una nuova classe dirigente democratica e repubblicana formatasi sull'onda del movimento illuminista. In più l'azione di questa prima classe dirigente nazionale, pur sconfitta e divisa tra radicali e moderati, è risultata essere all'origine del movimento risorgimentale per l'unità e l'indipendenza della nazione italiana. La pubblicazione è articolata in due parti, seguite da una consistente appendice documentaria. Nella prima parte si provvede ad una ricostruzione storico interpretativa della Rivoluzione Francese con particolare riferimento all'emergere del modello politico giacobino attraverso l'esperienza delle Repubbliche d'Italia impegnate sui temi costituzionali, delle riforme economiche, sociali e dell'istruzione, e nella diffusione di un nuovo linguaggio e spirito pubblico. Nella seconda parte si ricostruisce l'esperienza della Repubblica Romana e delle classi dirigenti giacobine nel Dipartimento del Trasimeno, e in particolare nella città di Perugia, anche attraverso nuove fonti documentarie. Nell'appendice è riportata una cronologia degli eventi; le schede biografiche dei giacobini francesi, italiani, romani e perugini; le trascrizioni dei documenti e delle Costituzioni francesi e della Repubblica Romana; una selezione dei bandi emanati tra il 1798 e il 1799 a Roma e a Perugia.
La Rivoluzione francese e le repubbliche d'Italia Lo Stato della Chiesa. Perugia e i giacobini 1789-1799
Crace - Studi storici, 2011
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