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Mercoledì 28 Gennaio 2004
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"Rossi per ora, ma non per sempre!"
"Senza una nuova classe dirigentente non ci sarà una vera modernizzazione dell'' Umbria"   svevs

di Alberto Stramaccioni

La pubblicazione del pamphlet “ Rossi per sempre ” ha suscitato fin dalla sua prima presentazione apprezzamenti e rilievi critici per le valutazioni espresse sul passato, il presente e il futuro della politica in Umbria. Tra gli interventi più significativi vanno sicuramente annoverati quelli di Lorenzetti e Colaiacovo anche per il loro ruolo istituzionale e poi quelli di Mandarini, Carnieri, Roych, Covino, Bromuri ed altri. Ma al di là delle interpretazioni più o meno condivisibili, espresse sui caratteri del sistema politico, sintetizzate nei termini “regime” o “oligarchia”, è forse utile ritornare su quello che mi appare essere un nodo fondamentale, ancora largamente sottovalutato nel confronto pubblico in Umbria. Occorre affrontare cioè con grande determinazione, la questione delle classi dirigenti, del loro ruolo e funzione, sia quelle espressione del sistema politico-amministrativo al pari di quelle rappresentative del sistema economico-sociale se si vuole realizzare un vera modernizzazione economica, sociale e istituzionale dell''Umbria.

 

 

 

E, quindi, è necessario riflettere su tutti gli aspetti legati alla loro selezione, qualità, azione, cultura di governo, per affrontare l''insieme del rapporto che si viene a determinare tra le istituzioni ed i cittadini e più in generale tra queste e la società civile. D''altronde dopo la crisi del “modello umbro”, culminata agli inizi degli anni novanta, l''affermarsi di una nuova fase di sviluppo della regione, oggi ha bisogno di idee, progetti, risorse, ma innanzitutto di classe dirigente autorevole e capace, che ne rappresenti il motore e la spinta principale. Ma è, purtroppo risaputo, che le classi dirigenti non si formano o si cambiano a tavolino, e frequentemente sono proprio queste, quando hanno la capacità di interpretare gli interessi generali e i bisogni di una comunità, a contribuire allo sviluppo economico e sociale molto di più di tante risorse finanziarie. 

Data la portata della questione, la riflessione non può essere circoscritta naturalmente solo alla dimensione umbra, soprattutto in questi anni di transizione politico-istituzionale dopo la crisi della prima Repubblica, emblematicamente rappresentata dalla scomparsa di un''intera classe dirigente, che per quasi mezzo secolo aveva governato il paese. Purtuttavia la questione ha una sua specificità umbra per la storia, la fisionomia e l''identità sociale della nostra regione. 

Lungo i secoli della dominazione pontificia, che hanno segnato la storia della regione, una cultura e una pratica di governo burocratico statale e antimoderna (interpretata soprattutto dai legati del papa) ha finito con il segnare negativamente lo sviluppo delle nostre città e dei territori. Dopo l''unità d''Italia la situazione è certo cambiata sul piano politico istituzionale, ma una ristretta cerchia di notabili, in particolare espressione del mondo agrario, ha condotto una forte lotta contro la prospettiva dello sviluppo industriale della regione, relegando l''economia umbra in una situazione particolarmente arretrata. Poi nei primi sette decenni di vita dell''Italia unita, compreso il periodo dell''esperienza fascista, si è andato via via allargando l''intervento dello stato centrale nell''attività economica umbra, non certo e non solo con la nascita e lo sviluppo del polo industriale ternano. Con una certa continuità, nel secondo dopoguerra, è cresciuta, nella Dc come nel Pci, una classe dirigente che, di fronte all''estrema povertà e arretratezza della regione, ha fatto della presenza ulteriore dell''intervento dello Stato (anche attraverso l''esperienza della programmazione economica), lo strumento per realizzare la prima vera modernizzazione e il nuovo sviluppo della regione. 

Quelle a cui ho brevemente e superficialmente accennato non sembrino inutili digressioni storiche, quanto invece elementi di valutazione politica di “lunga durata”, utili per riflettere non solo sull''importanza delle classi dirigenti per lo sviluppo di una comunità, ma anche per capire la complessità e la difficoltà di cambiarle, senza contrabbandare dei semplici avvicendamenti di ceto politico o imprenditoriale (all''interno della stessa cultura e pratica di governo) come autentici e radicali processi di rinnovamento dell''insieme delle classi dirigenti. 

Il problema oggi in Umbria, all''inizio del nuovo secolo, è quindi quello di avere innanzitutto consapevolezza che si va rapidamente esaurendo, se già non si è esaurita, la funzione di quella classe dirigente politico-amministrativa ed economico-sociale che ha fatto (in varie fasi, in vari modi e con risultati più o meno utili alla regione), della politica della spesa pubblica quasi l''unico volano di sviluppo e di modernizzazione della regione, mobilitando al minimo le risorse private o la capacità di iniziativa dei singoli. 

Le ragioni di tutto ciò sono naturalmente molte e diverse, interne ed esterne alla regione, ma per rimanere solo al recente passato, a quegli intensi anni novanta appena trascorsi, si può serenamente constatare che, pur di fronte alle tante sollecitazioni (crisi irreversibili del modello di sviluppo umbro, delegittimazione di un''intera classe dirigente anche per le inchieste sulla corruzione, mutamento del sistema politico regionale e del contesto internazionale), non si è certamente avviata un''inversione di tendenza, verso il ricambio radicale delle classi dirigenti e, quindi, tantomeno delle politiche di sviluppo. Più concretamente, se un processo di rinnovamento, almeno negli ultimi dieci anni, si è avviato nel sistema politico-amministrativo della regione, con limiti e difficoltà, con accelerazioni e ripensamenti, in parte sollecitato dalle nuove leggi elettorali, a ciò non ha corrisposto un analogo cambiamento dell''insieme delle classi dirigenti del sistema economico, sociale e imprenditoriale. E il conservatorismo degli uni finisce con il limitare o con il condizionare la volontà di rinnovamento, quando c''è, degli altri. 

Oggi siamo, quindi, con un certo ritardo, di fronte all''esigenza di un mutamento di rotta radicale per rispondere alle necessità di prefigurare il nuovo sviluppo e la modernizzazione della regione. Con una semplificazione concettuale e comunicativa si potrebbe dire che è necessario passare dalla classe dirigente della spesa pubblica o più sinteticamente dello stato senza mercato ad una nuova, animata da uno spirito di cambiamento all''insegna del più privato e meno stato , evitando le esasperazioni liberistiche di una certa destra nostrana. 

Ecco perché di fronte alla crisi del modello di sviluppo che si era affermato negli anni settanta, oggi non ci si può più attestare su una politica difensiva, espressa da un certo riformismo debole, fatta da una parte di tagli, tasse, di una qualche razionalizzazione delle strutture dello stato sociale, e dall''altra di richieste di incentivi per lo più per le infrastrutture, senza definire tutte quelle insieme di politiche per lo sviluppo, soprattutto per la piccola e media impresa che possono portare a ridurre progressivamente quel gap di quasi duemila miliardi esistente tra la capacità di produrre e di spendere dell''Umbria. La realtà è che i problemi antichi e presenti dell''Umbria, dei suoi squilibri e delle sue fragilità possono essere avviati a soluzione innanzitutto e soprattutto con un processo riformatore forte facendo crescere il tasso di sviluppo ed il prodotto interno lordo, rendendo più competitivo l''intero sistema economico-sociale e politico-istituzionale di tutta la regione. La collaborazione tra intervento pubblico e iniziativa privata non può che essere alla base di questa prospettiva di nuova modernizzazione, anche mettendo in discussione privilegi e rendite di posizione presenti in vari settori e accumulatasi nei decenni. D''altronde mai come in questi ultimi anni ci sono state e ci sono le occasioni, proprio perché l''Umbria ha potuto e può disporre di ingenti finanziamenti pubblici, dai fondi per il terremoto a quelli comunitari, ma se gli investimenti, o per pigrizia imprenditoriale, o per logiche di esclusiva ricerca del consenso non sono ben orientati ad obiettivi di rafforzamento e qualificazione del sistema produttivo, la storica fragilità del sistema produttivo della regione rimane inalterata con i suoi vecchi problemi e squilibri. 

Appare, quindi, oggi più che mai decisiva per lo sviluppo della regione la capacità di fare scelte lungimiranti ed è quindi rilevante l''apporto in questo senso che può venire dalle classi dirigenti soprattutto se sono rappresentative. La rappresentatività d''altronde è una condizione fondamentale per l''autorevolezza e se il ceto dirigente è sempre più ristretto, è inevitabilmente sempre più portato a difendere gli interessi particolari o di gruppo, contro quelli più generali della comunità. In questo senso è utile porsi alcuni interrogativi. 

E allora non c''è forse una vecchia e scarsa capacità di rappresentanza, per esempio delle organizzazioni sindacali e delle forze sociali, sia sul versante imprenditoriale che su quello del lavoro dipendente? E in questo contesto chi rappresenta quelle centinaia di piccole e medie imprese che fanno quotidianamente i conti con il mercato, senza alcun contributo pubblico ed anzi pagando i disservizi del sistema burocratico-amministrativo? 

E poi quante responsabilità ha e ha avuto la sinistra, la sua cultura politica dominante nell''aver contribuito a determinare la rappresentanza sociale, solo sul versante industriale e manifatturiero, sottovalutando tanti altri settori produttivi, o nuovi lavori? 

E ancora non c''è forse una distanza troppo pronunciata tra i progetti formativi delle maggiori istituzioni culturali e professionali della regione e le esigenze effettivamente necessarie della cultura, della didattica, della ricerca? E in questo quadro perché si spende così tanto per una formazione professionale spesso svincolata dai reali bisogni di qualificazione richiesti nella regione? 

E continuando, non c''è forse un sistema creditizio e finanziario che non conosce il rischio d''impresa, esige garanzie esorbitanti ed è poi impegnato a sostenere poche e definite imprese a svantaggio di tante piccole e medie attività che lottano autonomamente, potendo contare solo sulle proprie forze, per realizzare prodotti innovativi e competitivi? 

E ancora non c''è forse un sistema di imprese e di studi di progettazione, che sollecitano direttamente fondi dallo Stato per realizzare opere pubbliche, non sempre volute dalle istituzioni e che poco hanno a che fare con il potenziamento vero ed effettivo del sistema infrastrutturale della nostra regione? 

E poi non c''è forse una società civile che continua a mantenere una storica subalternità al potere politico istituzionale e rinuncia nei fatti a fare della sua autonomia una risorsa per lo sviluppo della democrazia e della modernizzazione della regione? 

E non c''è, infine, una classe dirigente del sistema politico-istituzionale che evita di misurarsi con le prospettive di crescita di medio e lungo periodo, rinchiudendosi troppo spesso nella quotidianità o nel campanile? 

Cambiare passo non è certo semplice, ma è in qualche modo obbligatorio per chi ha le maggiori responsabilità politiche e di governo, come sono la sinistra e il centrosinistra in Umbria, naturalmente se si vuole essere utili allo sviluppo della regione e per questo essere riconosciuti e raccogliere fiducia e consensi. 

Per tornare allora alla discussione aperta con la pubblicazione “ Rossi per sempre ” forse il titolo del pamphlet è eccessivamente ottimista e dà troppo per scontata una perdurante egemonia politica ed elettorale della sinistra, e non si valuta a sufficienza la sfida in corso, anche per il futuro della nostra regione, di fronte ai grandi mutamenti europei ed internazionali. 

E'' vero che il centrodestra stenta a rappresentare un''alternativa di governo credibile, ma questo non può certo essere una buona ragione per non lavorare con la necessaria determinazione ad una vera modernizzazione della regione, innanzitutto nell''interesse futuro dell''Umbria.

 

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