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Venerdì 02 Aprile 2004
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"Contro il declino delle Università"
"Gli Atenei italiani in rivolta contro il disegni di legge del Governo,interessati quelli Umbri"    scecs

di Alberto Stramaccioni

Tutti gli atenei italiani sono oramai da settimane in movimento per protestare contro il disegno di legge varato dal governo Berlusconi lo scorso 16 gennaio, riguardante il “ riordino dello stato giuridico e del reclutamento dei professori universitari” . Per il 4 marzo è fissata una giornata di protesta nazionale. Mai negli ultimi decenni, un progetto di legge come questo ha suscitato una reazione così negativa nel mondo universitario, dai Rettori, ai ricercatori, agli studenti. Manifestazioni di protesta si sono realizzate in tutte le università contro un disegno di legge che secondo gli slogan più diffusi favorisce l'università private e degrada quelle pubbliche, e che trasforma le nostre facoltà in altrettanti licei .


Ma quali sono le ragioni della protesta. Innanzitutto la mancanza di fondi per l'Università e poi nel merito del Ddl secondo molti docenti, con il riordino varato dal Consiglio dei Ministri si tenta di procedere verso l'istituzionalizzazione del precariato nell'Università attraverso incarichi con durata non superiore ai tre anni, con il blocco dei concorsi per ricercatori che saranno ridotti a co.co.co., con l'affidamento di insegnanti per contratto a studiosi stranieri o italiani di “chiara fama”, con la ricerca finanziata dai privati. E inoltre con i nuovi doveri per gli insegnanti che dovranno passare a 350 ore di lavoro l'anno, di cui 120 di attività didattica frontale con l'abrogazione della distinzione tra insegnamento a tempo pieno e tempo definito. In sostanza dicono molti docenti si tenta di avviare una liberalizzazione selvaggia con consulenze esterne all'università, per quelle naturalmente che se lo possono permettere.

I promotori e i sostenitori del provvedimento (proposto dalla Commissione De Maio per conto del Ministro Letizia Moratti) sostengono la positività della legge per varie ragioni. Innanzitutto con il Ddl si ritiene di valorizzare il sistema dei concorsi ponendo fine a quello introdotto a partire dal 1999 che prevedeva la presenza del membro interno fra i tre commissari e ciò avrebbe determinato la vittoria dei soli candidati locali con l'accentuazione di un sistema nepotistico, abbassando così in maniera preoccupante la qualità della docenza. Altro punto qualificante viene considerato l'inserimento del principio secondo cui nella retribuzione del docente ci sarà una parte variabile legata al merito e al maggior impegno nella ricerca e nella didattica. Un ulteriore elemento positivo sarebbe quello rappresentato dalla possibilità per le imprese di finanziare insegnamenti anche ricorrendo a docenti esterni all'università, offrendo l'opportunità di avere contratti con il mondo della produzione e dell'industria. 

Ma al di là delle singole proposte contenute nel disegno di legge di riordino della docenza universitaria, la grande questione che sta dietro questo provvedimento e che appare assolutamente non risolta è quella del come rilanciare il ruolo dell'università e affermare la sua centralità nel sistema paese sviluppando notevolmente la ricerca scientifica in Italia. 

E' un dato oramai risaputo che le 77 università italiane, alle quali sono iscritti oltre un milione e mezzo di studenti, riescono a laureare appena il 20-25 per cento degli iscritti mentre in Europa la media dei laureati è quasi il doppio e soprattutto in materie scientifiche ed ingegneristiche. In più negli ultimi dieci anni si assiste ad una progressiva riduzione degli iscritti in ogni anno accademico, mentre il corpo docente è particolarmente anziano: l'età media dei ricercatori supera i quaranta anni, quella degli associati cinquanta, e gli ordinari sono in gran parte oltre i sessanta. Un altro limite poi della università italiana è quello di aver trasformato molte facoltà universitarie in altrettante strutture quasi di marketing. Pressate da una cronica mancanza di fondi, situazione inasprita dalle ultime finanziarie, se si vogliono reclutare nuovi docenti, affittare aule, aprire laboratori informatici, tenere aperte biblioteche comprando ancora un certo numero di libri e riviste, le facoltà hanno una sola strada e cioè quella di attrarre il maggior numero di studenti, visto che sulle tasse che questi versano all'ateneo le facoltà ne ricevono circa la metà. E al fine di attrarre quindi gli studenti si moltiplicano a dismisura corsi di laurea triennali e specialistici che promettono mirabolanti sbocchi professionali mentre si alleggeriscono al limite della decenza i carichi didattici e le prove d'esame.

Quanto poi alle prospettive della ricerca scientifica e umanistica con questo provvedimento del governo non si aprono di certo ampi spazi. Chi può mai volersi impegnare in progetti che richiedono decenni di severo lavoro, si tratti di ricerca storiografica o di decifrazione del genoma umano, avendo dinanzi una ventina d'anni di precaria occupazione, scandita da una serie interminabile di prove d'esame. D'altronde le modalità di contrattualizzazione della docenza, la cancellazione dei ricercatori, la penalizzazione del tempo pieno colpiscono pesantemente la continuità progettuale e organizzativa necessaria alla ricerca. Se la proposta fosse approvata così com'è, verrebbero meno quelle che sono in tutti i paesi le condizioni primarie per il successo nella competizione scientifica e tecnologica. In questo quadro si è parlato per il Ddl in esame di riforma “all'inglese” o “all'americana”, ignorando o fingendo di ignorare al di là della differenza di contesti e culture, gli aspetti cruciali di quei sistemi nei modelli anglosassoni dove la presenza di alcune istituzioni universitarie o parti di esse è dedicata prevalentemente alla didattica mentre le stessi si caratterizzano per una missione complessiva di sistema, rivolta strutturalmente all'innovazione nel campo della ricerca. Anche la selezione accademica avviene su questo presupposto, a partire almeno da una preselezione effettuata a livello più basso, del dipartimento o della scuola ed orientata allo sviluppo dei gruppi di ricerca. Infine le forme di contrattualizzazione sono pensate per rafforzare la qualità e la continuità dei gruppi di ricerca, delle scuole e dei laboratori.

La dimensione americana è non solo quantitativamente diversa: milleseicento università quadriennali, quasi mille università biennali, più di dieci milioni di studenti, il panorama americano dell'istruzione superiore è fitto, capillare e molto vario. Nell'immenso scacchiere di un sistema decentralizzato in parte sostenuto dal governo federale, in parte dagli stati, in parte dai finanziamenti dei privati e delle fondazioni non esistono leggi immutabili, se non una che più o meno continua a rimanere valida: chi lavora bene prima o poi viene premiato. Che si tratti dello studente che cerca di farsi ammettere in una università di qualità o di un professore che desidera una cattedra. Negli Usa vale ancora il principio che la professionalità, i titoli, la puntualità, la bravura nel proprio campo sono la maggiore garanzia di vittoria.
Da noi non ci sono garanzie in questo senso ed eventuale approvazione di questo DDL renderebbe ancora più difficile talora insostenibile le diverse posizioni soprattutto di chi opera esclusivamente all'interno dell'università dedicandovi tutte le proprie energie in merito alla ricerca, didattica e ai compiti gestionali. 

La differenza di altri paesi europei, di Usa e Giappone, l'Italia non ha strutture industriali o università private in grado di sopperire neppure parzialmente alle funzioni dell'università statale. Riformarla con la precarizzazione fino ad età molto avanzata del suo personale, allontanandone i migliori giovani in un'ottica di continua riduzione delle risorse da dedicare a didattica e ricerca non potrà che affrettare velocemente un declino del paese che pare già iniziato.

Per arrestare il declino del sistema-paese non vi sono alternative se non quella di convogliare in una prospettiva di medio e lungo periodo una quota il più possibile rilevante di risorse verso l'istruzione, l'università e la ricerca di base ed applicata tali da invertire la tendenza e consentire innovazione e sviluppo a beneficio delle prossime generazioni.

 

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